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TUTTA COLPA DI EPICURO, DIREI!


IN TERMINI DI VALUTAZIONE DEL DANNO, LA LESIONE ALLA PERSONA E’ PIU’ GRAVE DELLA MORTE?

03/11/2017 – Avv. Giuseppe Fabozzi

Nel corso della mia carriera professionale ho sentito anche dire, in maniera semiseria (in fondo, il cinismo è una forma di estremizzazione dell’ironia), che se ti dovesse capitare di investire un pedone, torna indietro e accertati che sia morto altrimenti … sono guai! Ma è proprio vero che si paga più un infortunato che un morto? Beh, certo che si!

Tralasciamo il danno che matura in favore dei familiari, di natura patrimoniale (il dover sostenere delle spese funerarie, il dover rinunciare all’apporto economico del congiunto) o non patrimoniale (la sofferenza per la scomparsa del congiunto); qui voglio intrattenermi sul danno spettante alla vittima e che la vittima trasmetterà, eventualmente, ai suoi eredi.

Riesce di difficile comprensione, a chi non è avvezzo a cose giuridiche, che la lesione abbia conseguenze più gravi che non la perdita della vita.

Tutta colpa di Epicuro, direi.

Il celebre filosofo di Samo, nella sua lettera a Meceneo sulla felicità, affermava che “la morte, il più temibile dei mali, non esiste per noi, perché quando noi viviamo la morte non c’è, quando c’è la morte non ci siamo noi. Non è dunque nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi essa non c’è ancora, per i morti sono essi a non esserci più”. La sua riflessione serviva a diffondere l’idea che non si può avere paura della morte, perché è un fatto che non ci riguarda.

Aveva anche un alto argomento utile allo scopo: ci preoccupiamo del tempo che sarà dopo di noi, senza di noi; ma allora, perché mai non ci dà la medesima preoccupazione il tempo che ci ha preceduti, prima che iniziasse la nostra vita, anch’esso senza di noi? Perché il futuro ci fa più paura del passato?

Ma, tornando all’idea secondo cui la morte non accade a colui che muore, perché quando essa arriva lui cessa di esistere, questo è un concetto che è entrato nella giurisprudenza: la morte di un uomo non è un evento dannoso per chi la subisce, perché essa arriva in un momento in cui la vittima … non c’è, non esiste. Ed allora, non può produrre un danno la violazione del bene vita. Al contrario, produce un danno la violazione del bene salute. “Una perdita, per rappresentare un danno risarcibile, è necessario che sia rapportata a un soggetto che sia legittimato a far valere il credito risarcitorio; nel caso di morte verificatasi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, l’irrisarcibilità deriva dalla assenza di un soggetto al quale sia collegabile la perdita stessa” (Cass. Sez. Unite n. 15350/2015 – link). Segue uno schema riepilogativo delle voci di danno spettanti ai congiunti della vittima.

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